Racconti

leggere, sognare, scrivere... pensare

Quando le parole degli altri sostituiscono la propria esperienza, è meglio non ascoltare e rinchiudersi nel cesso.
di Angela Cavelli

Fiabe e racconti

Cosa sarebbe la vita
senza storie...

Domenica 9 Dicembre, 2012
Venticinque matti da legare erano assemblati in un'aula anonima in cui le pareti di cemento armato formavano bande parallele e continue, esemplarmente monotone, e le finestre si aprivano su un prato di un gialligno malato, così che l'unica possibilità di muovere la fantasia era guardare l'insegnante di fisica parlare.
Era più sui cinquanta che sui quaranta e spiegava con ricchezza di esempi il metodo sperimentale;
Leon se ne stava a bocca aperta ad ascoltare: quell'uomo con pochi capelli e occhiali orlati d'oro poteva essere un buon professore, uno di quelli che avrebbe potuto far amare la fisica come George Harrison la chitarra. Terminata la mezz'ora di spiegazioni il prof. chiamò alcuni presso di sè perchè consegnassero la relazione sull'esperimento in laboratorio. Leon aprì la cartella, la cercò, ma i fogli non c'erano.
Guardò sotto il banco, ma niente. Poi fissò con uno sguardo implorante il suo compagno di banco: questi aveva tra le mani il suo lavoro e non voleva sapere altro.
Leon si arrese: non aveva fatto la relazione, era la prima volta che facevano esperimenti in laboratorio e lui aveva sottovalutato la cosa, pensando che non fosse importante redigere alcuno scritto e così di quell'impegno aveva perso addirittura la cognizione.
"Leon Castelbarco, manca solo lei."
"Non l'ho fatta prof., me ne scuso, la porterò."
"Veda Castelbarco, in queste prime settimane io l'ho studiata a fondo, io l'ho capita...."
Leon stava ad ascoltare quel prof. che il primo giorno di scuola aveva detto:"Se voi rispettate me io rispetterò voi" e pensava che avrebbe potuto rimediare...
".....io l'ho capita davvero e vedo in lei qualcosa di negativo che altri non vedono…”
Leon sbarrò gli occhi. Aveva sentito bene? Erano forse uno scherzo quelle frasi ben scandite, ignobili nella loro chiarezza? Nessuno l'aveva mai trattato così, come era possibile che qualcuno, un prof., un maggiore, lo giudicasse in modo tanto vile da non lasciargli la minima speranza? Lui sapeva che non era così, aveva sempre pensato che in principio era la parola, non la m....e lui dunque non era me..eux.
Abbassò gli occhi, sentì una secchezza in gola e una mancanza di respiro, poi fu investito dall'ultimo affondo, tanto inutile quanto feroce:"La relazione la porterà l'anno prossimo perchè sarà ancora in prima."
La previsione minacciosa era talmente grottesca che ebbe il potere di risvegliarlo e di fargli balenare come possibile che anche i maggiori, davvero, proprio i maggiori, sì, proprio loro, "i grandi" ecco, sì, i cosiddetti grandi possono odiare.
Intorno, i ventiquattro matti da legare zittirono.
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