In mano il bizzarro gentiluomo aveva un lunghissimo piffero. “Se volete fare un patto con me io vi libererò dai topi! Possiedo un’arte che è un potere: sono in grado di condurre dove voglio ogni creatura, si tratti di animali o di uomini, non con forza o prepotenza, ma per seduzione. Mi darete mille fiorini se farò quel che dico?” Già i topi presenti lo stavano a guardare incantati e le femmine sbatterono le ciglia lunghe come quelle di Minni e si fecero un nodo sulla codina, mentre i maschi si accarezzarono i baffi e si lisciarono il pelo. “Non diecimila, ma centomila fiorini e il letto a baldacchino di Re Luigi e la stanza di Beethoven e l’altalena di mio figlio, il Thamagoci di mio nipote, l’orologio a cucù di mia moglie Swatch and Swatch, la clessidra di mio zio con sabbia del deserto dei Tartari, il Play station e una forma di formaggio senza topi ma con tartufo bianco d’Alba” urlò il sindaco. II patto fu concluso e senza perdere un minuto il pifferaio magico scese nella piazza del paese. Accostò alle labbra il suo lungo piffero, stette un momento a pensare, poi cominciò a suonare. E allora quel suono dolce e lungo, che parlava ai villi intestinali dei topi e ai loro centri corticali e che spazzava via anni di vile servaggio trascorsi negli Skinner-box, dette il via a un movimento incredibile: una fiumana di topi si riversò sulla strada e seguì il pifferaio. I topi lasciarono ogni ben di Dio, comprese le Bavaresi a tre piani, per seguire quel suono dolce, che faceva felici, e il pifferaio si incamminò verso il fiume. Chi squittiva imitando il suono della balalaika, chi ballava il rap e chi rapito nell’estasi sembrava avere le ali e lievitava, alzandosi da terra. Giunto sulla riva il pifferaio entrò in acqua, e con la sua melodia riuscì a far dimenticare l’arte di nuotare ai roditori, che così annegarono felici e i loro corpi furono portati via, lontano, dalla corrente. Un suono di corna di pentole e uno sfrigolar di petardi e di pesce fritto salutarono l’impresa del grande pifferaio. Il sindaco poté affacciarsi al balcone urlando: ”Cittadini, la grande ora è venuta, meglio un giorno da leoni che un milione di topi...Io ho dato l’incarico al pifferaio di risanare la città e mia sarà la gloria...” Tutti acclamarono, ma una voce s’alzò, dopo il clamore: ”Adda passà a nottata!” Il giorno dopo il pifferaio si presentò al sindaco perché onorasse il patto. “Suvvia” disse il primo cittadino, “voi, grande signore, volete parlare d’interesse, dopo che avete fatto una così grande azione? Non vi basta l’onore dopo l’ardita impresa? volete avere anche la pecunia? Siate felice di aver salvato vecchi, donne e bambini da una così nera catastrofe e piangete di gioia con noi. Vi basti la gloria di aver ridato il sorriso ai piccoli e di avere riportato il formaggio sulle tavole delle nostre vecchie nonne incanutite. Ciò vi basti dunque e non se ne parli più. Potrei darvi, giusto perché non si dica che c’è del marcio ad Hamelin, cinquanta fiorini e una vaschetta di pesci rossi. Prendere, signore, o lasciare. Ringraziate e poi toglietevi dai piedi che non posso star qui a dar soddisfazione a tutte le galline che han fatto uno straccio d’ovo.” Mai offesa fu più umiliante. Il pifferaio, sentendosi paragonare a una gallina e vedendosi davanti una misera ricompensa, ancora una volta richiamò il sindaco ad onorare il patto e poi, dopo aver ricevuto un nuovo rifiuto, s’avvolse nel mantello di zibellino e abbandonò la sala consiliare, non senza aver lanciato un : “Ve ne pentirete amaramente, non sapete quello che state facendo...Badate... potrei suonare una melodia diversa e allora...” Il sindaco, tutto gongolante perché quel giorno era per lui di grandi appuntamenti, si mise a ridacchiare. Chi era dunque quell’innocuo e mite pifferaio al confronto del Gran Visir d’Oriente, del Gran Ciambellano del Regno Unito e del goliardico Presidente del Regno a stelle e strisce che volevano incontrarlo in un summit per donargli “Il Broccolo d’oro”? Si stiracchiò e immaginando la grandezza dei suoi potenti amici, padroni del mondo, scacciò quel pensiero di riconoscenza che gli era balenato improvvisamente e, pur con una punta d’amaro declamò: ”Suona, suona pifferaio l’ottavino senza chiavi, suona Mozart con il fiato, pur col banjo e il liutino, col fagotto e il bombardino, con la tuba e la chiarina, prendi anche le maracas, il triangolo ed il gong, fai ballate alla robiola, al caprino, al gorgonzola, gioca pure a far l’indiano, ma da noi tienti lontano!” Il pifferaio uscì veloce come il vento a riveder le stelle. Quando fu per strada si guardò intorno: i bambini e i giovani di Hamelin gli vennero incontro per festeggiarlo e per ringraziarlo e volevano che ancora lui suonasse e questa volta per loro. “Suonaci qualcosa pifferaio”, implorò la signorina Zabalionen, perché quando tu suoni mi fai venire voglia di nuovo di tessere il mio velo da sposa e di abbandonare il mio sudario e i miei neri pensieri e di correre dal mio amato e di vivere con lui fino al mio ultimo battito. Suona, pifferaio...” “Se suonerò soltanto, a te non rimarrà che ballare. Ma solo i topi ballano dove la casa è abbandonata. Ma dov’è la tua casa?” “La casa di mio padre non è più la mia casa e l’unica eredità che ho avuto sono paste avvelenate da mia madre ... Il mio amato non è più solito varcare la soglia della dimora di mio padre da quando l’ho scacciato in malo modo perché.... voi uomini siete tutti uguali...” “Ci son dunque anch’io nel tuo mazzolino, eppure se sei qui non è per tirar freccette”. “Mi strapperei la lingua, ma ormai l’ho detto”. “Strappati quella non tua e intanto che ci sei cavati pure gli occhi che non ti appartengono e vedrai che ne scoprirai delle belle!” “Mi stai chiedendo qualcosa di impossibile...anche se mi piace l’idea..” “Ma è perché ciò che ti va diventi possibile....” Mentre la signorina Zabalionen pensava a come risolvere il quesito, si avvicinarono al pifferaio due ragazzini dal viso inselvatichito, vestiti d’erba e di fiori: “Veniamo con te, pifferaio, non vogliamo morire di fame, vogliamo una tavola apparecchiata con stoviglie d’oro, candelabri d’alabastro, cibi succulenti e commensali giocosi: siamo stanchi di pane di segale e di petunie fritte, vogliamo dare la caccia ai fagiani, mangiare a Natale il tacchino ripieno e coprirci d’inverno con calde pellicce. Nostra madre piange sull’ermellino fuggito, nostro padre predica sulla collina, suona, pifferaio e prendici con te...” chiesero in coro i figli macilenti dell’eco-purista Ecolamer. “Se vi riempio di tacchino oggi, di faraona domani, e di paté d’oca posdomani voi non farete altro che aspettare tutto da me e io diventerei povero in canna mentre voi sonnecchiereste al sole. Se invece vi date una mossa per imparare ad allevar tacchini, rimpinzar faraone, trasformare rosei maialini in salami profumati, e inoltre se saprete allevare gli zibellini per i re, riprendendovi così ciò che era di vostro padre, avrete cibo in abbondanza e potremo festeggiare insieme il Natale, il Capodanno e la festa del papà con i sovrani e da sovrani”. “Vuoi dire che arrotoleremmo con rosmarino, salvia e alloro anche papà?” “Papà è già condito in salamoia, c’è solo da aspettare la carica degli ermellini...e meglio ancora quella dei bisonti... per quanto non direi l’ultima parola.... tuo padre può sempre ecodileguarsi... e cambiar anima...” Mentre i due piccoli Ecolamer facevano progetti su salumifici e porcellaie, gridando a tutti: ”Finalmente non dobbiamo aspettare d’essere uno e ottanta per pensare e progettare qualcosa di grande, noi questo lo sapevamo di già, ma la confusione è grande sotto il cielo dei nostri padri”, un bambino vestito di bianco tutto inamidato s’avvicinò al fantastico suonatore con una bottiglietta di cloro. “Posso regalarti solo questa, è ciò che ho trovato in casa. Io vorrei imparare a suonare come te, pifferaio, ma nessuno mi si avvicina perché nelle mie vene scorre olio canforato e i miei occhi hanno visto solo barattoli di detersivo così che nel mio futuro c’è solo una lavanderia, ma se tu muovi le note io ricomincerò a giocare ed a correre e saprò suonare...” disse con voce accorata il piccolo Ecviner. “Hai parenti che lavorano nello zoo?” chiese curioso il pifferaio. “No, solo nelle miniere di talco e nelle cave di roccia sterile” rispose mestamente il piccolo. “Bene, se ti va, al Circo Barnum cercano un fanciullo mingherlino perché balli sui lupi, sui cavalli, sugli elefanti, sulle zebre e sul bue muschiato. Balli acrobatici, intendo”. “Ma io... sono piccolo e... ingessato” disse il bambino guardandosi le braccia stese a mo’ di saluto romano per via della salda d’amido. “Non aver paura non è detto che chi ha fatto bagni nel gesso per tanti anni non possa incominciare a ballonzolare sulle groppe, a saltellar sui tetti, a navigar sui mari, a riveder le stelle, a rincorrer donzelle, a suonar pei boschi e poi chissà... voglion proprio uno come te... un po’ strigliato...” “Io ti seguo, me l’aspettavo da te, tu non mi fissi nell’appretto... sai, da piccolo ho imparato ad andare in bici e volevo volare come la poiana... in alto. “Anch’io” dicevo “come lei”, ma è bastata una caduta e mi hanno rimesso nella scatola... ora potrò riprendere quota.. Il giovane Lovencraft, poi, si gettò ai piedi del pifferaio: ”Tu che conduci uomini e animali dove vuoi, fammi da padre, perché non so più chi sono e cosa voglio; io so scrivere mille canzoni e leggere i più bei poemi, insieme fonderemo la più grande scuola....” “Non pensare d’avermi trafitto con la tua dolorosa storia... A chi vorresti scrivere?” “...Al re... è da una vita che ci penso...” “Perché?” chiese intrigato il pifferaio. “Perché emani un editto e faccia riaprire la biblioteca, il teatro, il cabaret e la Filarmonica, le sale da tè e da biliardo...” “Se tu ti proporrai come curatore di queste imprese e non interpellerai il Municipio, io suonerò ad ogni prima e onorerò il re con il dono di una manto di zibellino. Ti propongo come prima opera teatrale il “Gregorius” di Hartmann von Aue, dimenticato dagli uomini, ma non da Dio. “E le donne?” chiese costernato il giovane. “Gioca di sponda, è il miglior modo per andare in buca” rispose gaudente il suonatore. Hannah invece si avvicinò in punta di piedi al pifferaio, circondata dalle sue oche e gli disse: ”Suona per me, pifferaio, perché le regole di mio padre mi hanno catturata e non ho più voglia di sedere a tavola, né di amare. Aiutami a pensare di nuovo e a mangiare...” “Mi piacerebbe che tu oggi servissi un pranzo a me e a tutti i miei ospiti” disse il pifferaio facendo esplodere in un “Hurra” tutti i giovani e i fanciulli che aveva intorno a sé. Poi continuò: ”So che hai frequentato la cucina curtense e infatti hai modi da regina, anche le tue oche sono regali...” “Il figlio del re cerca una guardiana dai modi aristocratici… può essere un’occasione... per le mie oche.” “E anche per il figlio del re...” buttò lì imprevedibilmente il pifferaio. Le guance di Hannah si colorirono finalmente di un rosa acceso ed ella alzò lo sguardo che ora cercava, timidamente ancora, di spaziare oltre i confini angusti della cittadina di Hamelin.... A questo punto il pifferaio si guardò ancora una volta intorno: le mamme e i papà chiamavano i loro figlioli perché rientrassero in casa, ma nessuno di loro si muoveva. Stavano tutti mettendo mano alle loro iniziative, sicuri che le parole del pifferaio li avrebbero accompagnati. Il piccolo Jorghenwar si aggiunse al gruppo e lasciò la torcia che aveva fra le mani e con la quale voleva incendiare il Municipio e giocare agli indiani col sindaco. Si avvicinò al pifferaio, tirandolo per i calzoni: ”Tu mi piaci” disse “se mi porti con te... incendieremo il mondo... bruceremo boschi e foreste…” aggiunse poi con cipiglio il piccolo. Inaspettatamente il pifferaio accarezzò la faccia bluastra del bambino e poi lo prese in braccio, e questi, forse per una svista, si lasciò prendere. “Ma non dobbiamo essere dei duri io e te?” chiese il piccolo.
(continua...)