Fiabe

le fiabe di Angela Cavelli
prendono spunto da quelle classiche

Io non c'ero
tra l'uno e nessuno,
ero un numero dubbio,
negativo.
di Angela Cavelli

Fiabe

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Venerdì 1 Aprile, 2011
[...]

Arcadia non parlò e rinunciò a pensare e si sforzò di ricacciare tutto ciò che le veniva alla mente “perché” si disse “lei ora era sposata al suo principe e non le restava che obbedire, essendo la sua sposa.” Eppure una grande rabbia la prese e si sentì triste e inquieta perché, malgrado i suoi sforzi, il pensiero che il gatto avesse sempre onorato la loro casa e li avesse aiutati ad aumentare il loro potere, si faceva sentire. ”Ci penserò domani, adesso non ho tempo” si disse. E così con improvvisa frenesia si recò a dar ordini alla servitù per preparare il pranzo di gala che dava in onore del re suo padre. La preoccupazione del marito di risparmiare sui cibi divenne la sua e così si accontentò di scegliere bevande e carni scadenti e di risparmiare sul vino. La serata ebbe un inizio felice: il re e la sua corte vennero accolti da Arcadia e da Berto e furono accompagnati ai tavoli. Purtroppo durante la serata Arcadia si sentiva preoccupata di tutto: il vino sarebbe bastato? come erano le carni? E la cotoletta di soia, piatto povero inventato dal suo sposo, sarebbe risultato gradito? Le pareva che tutto fosse diventato difficile e penoso. Per mille volte si alzò dal suo posto e andò a controllare che tutto fosse in ordine e così agli ospiti venne il dubbio che la principessa avesse mancato nei loro riguardi. Inoltre, durante la serata, i musici, mal serviti di cibo e di vino, non si disposero a rallegrare la cena, ma suonarono in modo stridente nenie nostalgiche che fecero addormentare più d’un ospite; qualcuno finì addirittura con la testa nel pasticcio di carne che aveva un vago sentore di uova marce. Berto, a causa del vino poco fine, vedendo che gli ospiti non onoravano la sua tavola ed erano inoltre annoiati per la mancanza dei racconti del gatto, incominciò a offenderli e a gridare: ”Se non mangiate io mi riterrò offeso!” E poi incominciò ad enucleare la sua teoria bislacca. “Io, Berto, principe di Carabas, Pollerania e Caledonia, io, che sono il più ricco del regno, vivrò come il più povero”. E così per tutta la sera raccontò tristi scenari su come le ricchezze avrebbero portato buchi nell’ozono, sciolto i ghiacci artici ed antartici, portato iceberg grandi come una montagna sulle rotte del Titanic, fatto alzare il livello delle acque, procurato terremoti e maremoti e che dunque era il caso di cambiare strada. Tutto infervorato, fece degli esempi bislacchi e raccontò che di tutte le sue ricchezze, descritte da lui con ogni particolare, dai gioielli di Arcadia al suo castello, dalla servitù ai forzieri ricchi d’oro non se ne sarebbe fatto più niente, perché aveva deciso d’essere il principe più povero del mondo. Gli invitati, soprattutto il re, credettero che Berto si fosse ubriacato per il vino ignobile e continuarono a intessere alleanze tra loro. Quando il principe poi si sbrodolò con una zuppa di cereali fece ridere tutti gli astanti, soprattutto il re. Un invitato, il conte Ulderico de’ Cicoria, nel sentire le ricchezze del regno di Carabas, era diventato verde come un ramarro, poi, riavutosi, intuendo l’occasione propizia, scrisse sul suo quadernetto di appunti tutto l’elenco dei tesori del principe e incominciò a sogghignare alle sue spalle. Il re e gli ospiti, molti dei quali accorsi per sentire parlare il gatto, incominciarono a sentire la mancanza di quel grande conferenziere e lo richiesero a gran voce. Ma Berto li zittì con superbia, dicendo che il padrone era lui e che del gatto se ne infischiava.. Altri, invece, non onorati dal padrone di casa e sempre alle prese con una petulante principessa che chiedeva loro: ”Perchè non mangiate? Mangiate che vi fa bene. E’ buono il vino? la carne è ben cotta?” si alzarono furenti e amareggiati, ben decisi ad andarsene. Sulla soglia del castello furono raggiunti dai pianti di Arcadia e dalle urla di Berto il quale proclamava :”Andatevene pure, non ho bisogno di voi.” A questo punto i principi convenuti decisero di rompere le alleanze che avevano stipulato con Berto: l’avrebbero lasciato al suo miserevole destino. Ulderico de’ Cicoria, invece, rimase perchè voleva sapere ancora di più sui possedimenti di Berto. Così gli si avvicinò e gli disse: ”Che ingrati! girano le spalle a un principe di così grande lignaggio e intelligenza e che ora ha aggiunto ai suoi tesori la perla più bella, la virtù della povertà.” Berto fu dapprima sorpreso di quel giudizio, ma poichè avvalorava la sua tesi, lo accettò. Il re, vedendo gli ospiti andarsene, Arcadia frignare, il principe urlare e avendo pesantezza di stomaco e bocca amara, si alzò, lamentando che non aveva mai visto un disastro tanto indegno. Uscì furente dalla casa della figlia e se ne ritornò al suo palazzo a bersi una regale limonata calda, pensando che Arcadia e suo genero non erano degni di diventare suoi eredi. I risultati di quel disastroso pranzo si fecero subito sentire. I principi mandarono disdetta dei patti, il re, ritenendo che sua figlia fosse stata una ingenua cretina e Berto uno stolto, preferì marcare la sua estraneità a tali insulsaggini, non ricevendo nè l’una nè l’altro alla sua corte e così Berto e Arcadia rimasero a tu per tu, soli. Arcadia, tanto dispiaciuta per l’esito infausto della cena, incominciava a rendersi conto dei disastri che il progetto bizzarro dello sposo procurava e così parlò: “Non ti rendi conto che i nostri invitati e il re mio padre ti hanno deriso per quanto tu hai detto? Tu ti umilii in codesto modo e umilii me, tua sposa. Non così desideravo la nostra vita in comune, non amo essere degradata e villipesa.” “La perfidia umana è grande, ma la mia umiltà è tale che io non ne sono colpito, anzi godo d’essere così trattato in nome del mio principio di povertà dal quale io dedurrò tutto. Io sono superiore a tutto ciò. Tutto ciò che è povero sarà buono, tutto ciò che non lo è sarà male e da me inviso. Io sono un principe che disdegna la ricchezza e il potere, sono un principe-non principe. ” “Se sei un principe non puoi essere un non principe e dunque hai da governare. Chi non governa non è un principe. I colpevoli aspettano di essere giudicati, le leggi sulla scuola, sui mass media, sulle opere pubbliche vanno emanate altrimenti tutto si sfascerà. Così neppure si governano le galline che per fare “co- co” e far le uova han da mangiare tutti i giorni, e bene.” “E noi ne faremo a meno” rispose il principe. “Ma se non permetti la costruzione di una nuova diga e di nuovi canali e non rimetti in sesto gli argini dei fiumi, le terre non avranno acqua durante la siccità e ne avranno troppa durante il periodo delle piogge e i contadini non potranno avere raccolti. La terra non darà più frutto.” “E allora in nome della mia e loro povertà mangeranno carne di vitella e d’agnello.” “Ma anche questi han da brucar l’erba, altrimenti non si sosterrebbero.” “E allora vendiamo le terre a chi voglia governare e noi vivremo, poveramente, di rendita.” “La povertà non rende, ti sbagli, non saresti più il principe che ho sposato; la tua caduta mi fa inciampare e tu così sei per me come un fattore che non fa fatti.” “Eppure tutto è così semplice, anzi, semplicissimus: tutto ciò che avrà a che fare con la ricchezza sarà da me rigettato. Va nella tua stanza, donna, che ne sai tu degli affari degli uomini? Non sai tu che Cesare fu ucciso da Bruto perché ambizioso? Meglio non esporsi a tali rischi, la povertà è facile e rende solidale gli uomini nel pianto.” Arcadia allibì e decise di svenire. La principessa fu accompagnata nella sua stanza. Il principe Berto sembrò commuoversi alla vista del pallore della sua sposa così combinata e le stette vicino fino a che ella rinvenne. Arcadia cercò con i suoi abbracci di far rinsavire il suo sposo, ma questi non volle parlare perchè trovava che la sua soluzione fosse eccellente, anche se non si sentiva felice. Del resto, così si giustificava, non aveva mai creduto fino in fondo che sarebbero vissuti felici e contenti. Qualcosa bisognava pur sacrificare! Quella sera Arcadia aprì gli armadi ricolmi di vestiti splendenti e li contemplò. Che ne avrebbe fatto di tutto quello splendore, visto che il marito ora preferiva gli stracci e che gli amici se ne erano fuggiti dalla loro casa? “Rimanderò ogni decisione” si disse “si sta facendo sera” e se ne andò nelle cucine regali per ordinare il parco pranzo a base di cardi fritti, minestra di crusca e semi di girasole.

(continua...)
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