Fiabe

le fiabe di Angela Cavelli
prendono spunto da quelle classiche

Cordova aveva una moschea
sentiva gli arabi sul collo e le trine di Siviglia sulle spalle...
perché la signora sapeva d'essere in cucina
ma non sapeva altro
e non parlava più
di Angela Cavelli

Fiabe

leggi le fiabe

Venerdì 18 Giugno, 2010
Il principe Berto (1) e la principessa Arcadia (2) lasciarono il loro castello e con la carrozza si recarono per il viaggio di nozze a Lunatantum, noto luogo di villeggiatura, dove il re, padre di Arcadia, aveva dei possedimenti e che distava circa cinquanta miglia dalla loro dimora. Al loro passaggio i sudditi del regno di Carabas si scappellavano per salutarli e augurare loro un felice inizio.
Il gatto con gli stivali rimase nel palazzo principesco con la carica di consigliere politico ed economico del regno del principe di Carabas e veniva riverito da tutti come un grande signore.
La principessa Arcadia durante il viaggio non fece altro che sognare di diventare una grande regina onorata da tutti perchè il suo sposo avrebbe ingrandito senz’altro i suoi possedimenti e così tutti i potenti della terra sarebbero stati loro ospiti.
“Che fanno mai le regine?” si chiese “oltre a crescere i figli come ha fatto mia madre?”
“Curano gli affari con il loro sposo” si disse. “E allora mi alzerò alle cinque e così avrò modo di fare una accurata toilette e di scrivere lettere a tutti i principi e re d’Europa e non mancherò di tenere i rapporti con le dame di compagnia, così potrò sapere tutto ciò che succede nelle corti. I miei suggerimenti faranno grande il nostro regno. Ecco, questa sarà la mia regola, ma ora è meglio tornare all’oggi. Al mio ritorno avrò molto da fare nel preparare i ricevimenti, nel disporre gli inviti e i regali da offrire agli ospiti.”
Il ricordo del sontuoso pranzo di nozze e la ricchezza dei doni ricevuti, tutti si erano resi disponibili a tributare loro grande onore, erano tali che facevano ben sperare Arcadia: insomma un futuro radioso si apriva davanti a lei e a Berto, almeno così pareva.
Quel giorno il sole era più sole degli altri giorni, e quando arrivò la lucida luna sembrava proprio che splendesse solo per loro.
E così Arcadia si addormentò con il sorriso sulle labbra.
Quando ella si svegliò, Berto fece fermare la carrozza e invitò Arcadia a cena nella locanda a cinque stelle “The Sun-King” (3). Arcadia strabiliò nel veder mangiare il suo sposo: otto galline novelle, tre salamotti della Val Torta, due chili di lardo profumato, sette torte farcite e otto pinte di buon vino. La fanciulla convenne che il suo sposo godeva di un buon appetito.
Raggiunsero la camera preparata per loro. La prima cosa che il principe Berto fece fu di togliere dal baule un impasto di sapone odoroso fatto arrivare apposta da Marsiglia, mise poi dell’acqua di rose in un bacile d’argento e bruciò nel camino legni fragranti e infine, a causa della sua antica frequentazione di car-grill, si recò nei bagni per soli uomini per lavarsi e profumarsi. Anche la sposa fece altrettanto, ma in un bagno di marmo rosa con intarsi di opale del Messico e, dopo essersi specchiata in un ovale d’argento e aver esclamato: ”Come sono bella!”, apparì nella camera nuziale dalla quale si alzarono effluvi profumati che facevano invidia ai fiori del giardino del re di Chanel.
Non solo, prima di coricarsi nel letto di piume con la sposa, Berto si fece portare tutte le rose del giardino e con i petali inondò il regale talamo.
Mai notte fu più dolce e mai aria fu più profumata.

Il giorno dopo prima di scendere per la colazione nella caffetteria della locanda, Arcadia vestì il suo principe con una vestaglia intarsiata d’oro e brillanti, dono del re, e la fanciulla si guarnì di una veste da camera di pizzo Chintilly che rendeva preziosa la sua chiara epidermide.
Berto si mise al tavolo dopo aver fatto accomodare Arcadia, ma, poichè era affamato, stava per buttarsi sulla tazza di caffè d’orzo, quando s’accorse che Arcadia stava attendendo che lui la servisse per godere insieme della lauta colazione. Ormai Berto pensava alla grande, non era più il povero figlio del mugnaio, ma ancora alcune sue condotte svelavano che era un parvenu. Solo che la sua Arcadia era talmente innamorata di lui che non vedeva la di lui rozzezza, ma solo le di lui qualità.
E così insieme sorseggiarono la scura bevanda e incominciarono a raccontarsi i sogni che avevano fatto.
“Ho sognato che il Papa ti metteva la corona ferrea in testa durante una cerimonia nella cattedrale di Notre Dame. Eri felice, poi tu prendesti una corona di rose e mi cingesti la testa.”
Mentre la fanciulla porgeva a Berto le ciambelle al cacao sommerse dallo sciroppo d’acero, la Charlotte di mele, quella di pesche e infine quella russa con crema inglese e panna montata, questi raccontò che aveva sognato il loro castello come fosse disabitato: lei lo aveva vestito con una regale armatura e lui era andato a combattere un mostro invisibile. Quando era tornato, il castello s’era tutto illuminato ed era ritornato brulicante di vita.
“Sarai stanco dopo un tale sogno e anche affamato” sussurrò dolcemente Arcadia e porse a Berto degli spiedini alla turca e dei cefaletti aromatizzati.
Tornati dal viaggio di nozze i due sposi si insediarono nel castello che era stato dell’orco e subito ebbero mille impegni da onorare perchè Berto, sposando la principessa, era divenuto principe di Carabas e aveva ora incombenze di governo.
Arcadia riceveva gli ospiti con grande dignità e ricchezza e così la notorietà dei loro ricevimenti passò i confini del regno. Al loro castello arrivarono conti, marchesi, dame bellissime e portavano doni d’oro e d’argento. I musici ogni sera rallegravano con cembali e arpe i pranzi dei loro signori. In quelle occasioni il principe Berto, consigliato dal gatto con gli stivali, si dava da fare per comporre alleanze così che il suo regno potesse fiorire sempre di più.
ll gatto con gli stivali veniva sempre invitato alle feste e sedeva alla destra del principe e godeva un mondo degli onori che gli riserbavano e dei pranzi luculliani. Per lui era sempre a disposizione un salmone intero fatto venire apposta dai mari del Nord. Il gatto era un grande oratore e intratteneva gli ospiti con storie bellissime che attiravano e interessavano i principi del regno perchè da lì traevano indicazioni politiche per i loro affari di stato. Alcuni addirittura stavano a sentirlo fino all’alba.
E così Berto, grazie all’avvedutezza e al saper fare del gatto, concluse un grande affare: aggiunse ai suoi possedimenti le terre semi deserte di Caledonia e Pollerania che aveva acquistato dai principi di Canossa e le rese fertili e rigogliose. Il suo regno si stava ingrandendo sempre di più.
Avvenne che, dopo sei mesi di questa vita intensa e soddisfacente, il principe Berto incominciò ad invidiare la grande competenza del gatto. Si mise a guardarlo con cattiveria, immaginando chissà quali intrighi e, vedendolo muoversi sciolto tra i più grandi principi e giudicare gli avvenimenti politici, culturali ed economici, concluse che nessuno poteva permettersi di essere più interessante di lui. Invece di imitarlo, imparando la sua arte dei rapporti e la capacità di trattare con tutti, dimenticando come questo gli sarebbe stato di grande beneficio, divenne ogni giorno più nero e pensieroso. Ogni volta che ai ricevimenti il gatto veniva elogiato per la sua competenza negli affari e per saper intrattenere alleanze e fare contratti, Berto veniva preso da una strana inquietudine a cui seguivano attacchi di singhiozzo irrefrenabili che lo facevano saltare sulla sedia per ben un metro e poi ricadere disastrosamente. Tanto che ben presto si dovette ordinarne delle nuove e rinforzate dal sediaio De Padova.
Berto tentò di scacciare quei sentimenti che lo facevano soffrire, ma questi, scacciati dalla porta, entravano dalla finestra. E così una notte sognò un profeta eretico di nome Celestino che gli diceva: ”Giustificami perché vuoi diventare ancora più ricco e potente e ingrandire il tuo regno. Non c’è necessità in ciò.”
Nei giorni che seguirono, Berto si fece sempre più lugubre e silenzioso e la sua pelle assunse un colore verde olivastro che impensierì la sua sposa. Ma a nulla valsero le tisane alla calendula che Arcadia gli preparava e le carezze con cui cercava di allietarlo. Ormai l’invidia per il gatto con gli stivali lo rodeva a tal punto che non riusciva più né a mangiare, né a dormire, né a seguire gli affari di stato. Questa situazione era per lui talmente insostenibile che lo faceva pensare troppo e male. Pensa e ripensa, in un pomeriggio, mentre era disteso sotto l’albero di fico, ebbe una specie di illuminazione e riuscì a superare la sua angoscia costruendo una bella teoria: non aveva forse fatto già molto per il suo popolo e il suo regno?
Era principe e sposo, ora poteva riposare: aveva raggiunto ciò che desiderava e dunque poteva fare altro.
“Basta così” si disse “è bene non desiderare altro.”
Questo fu per Berto il momento inaugurale dei suoi guai perchè fece l’unica cosa che non doveva fare: rinunciare al pensiero, al desiderio.
Poi passò all’azione, dicendosi che tutti i suoi problemi sarebbero svaniti se avesse scacciato il gatto dal suo posto. Non era forse lui che lo aveva iniziato alla ricchezza?
Infatti lo convocò, ma non lo fece neppure sedere nella stanza della corona, bensì lo trattenne sulla soglia e gli urlò: ”D’ora in avanti non starai più a corte, te ne andrai a vivere nella casa di riposo per gatti, là dove ci sono i tuoi pari. Non ho più bisogno di te. Tutti i miei problemi sono iniziati con te. Sei stato tu a cominciare! Se non mi avessi eccitato e aiutato a diventare ricco e marchese, io ora non avrei seccature. Quando mai non sono rimasto al mulino! vivrei lì con i miei fratelli dell’acqua che vi arriva e della sola farina del mio sacco! Starei nel mio brodo e senza pensieri....”
“Mio principe, mi sembra che tu stia sbagliando strada..., l’autarchia è una brutta bestia!” Il gatto ben sapeva che quegli sproloqui non erano che autoinganni e così pure la nostalgia per quel mitico mulino che, oltre a tutto, non apparteneva a Berto.
“Non voglio neppure ascoltarti, vattene dal mio regno..”
“Ossequi alla signora”: così rispose il gatto e se ne andò via molto rammaricato per l’ingratitudine del principe, divenuto stolto per effetto dell’invidia che non lo faceva più pensare. L’ex consigliere del principe di Carabas invece di andarsi a rinchiudere nella casa di riposo decise di fare il giro del mondo in ottanta giorni. Senz’altro avrebbe trovato qualcosa di interessante da fare, così avrebbe potuto rivedere il sultano Ben Adir e il Maraja di Galipur che aveva conosciuto e che lo stimavano molto perché aveva loro consigliato di far profonde buche nel deserto dove avrebbero trovato un oro liquido e scuro che li avrebbe resi ricchissimi.
Berto poi convocò Arcadia e così le significò: ”Ti comunico le mie decisioni. Tu, mia principessa, ora potrai fare quello che vuoi, saremo liberi entrambi dalle nostre obbligazioni. Potrai dedicarti alla “dream music” distensiva e persuasiva che ti darà serenità interiore e armonia personale e aiuterà la tua meditazione o, se meglio credi, ai quiz, alle cabale, ai trobadores e ad angeliche letture. Da parte mia, non ho nessuna voglia di incancrenirmi con gli affari di Stato che mi obbligherebbero ad amministrare la giustizia, ad emanare leggi, a studiare come rendere più fertili i campi e ad operare perché il mio regno prosperi con alleanze e trattative. Non ne val proprio la pena. E poiché il regno è mio, lo gestirò come voglio io. Sarò principe solo di nome e non di cognome o di fatto. Sarò “il principe povero” che più povero non si può. Tu avrai quel tanto da vivere e basta. Del resto che te ne fai di innumerevoli vesti d’argento e d’oro? Una veste verde pisello o verde mela con riporti azzurro angioletto ti basterà. Meglio esser poveri e vivere in completa, seppur elegante, umiltà, la quale ci renderà cari ai nostri contadini che sono anch’essi poveri, ma onesti. Tutto sarà rinnovato. Si sta preparando un’era nuova: il Sole butterà via i Pesci e farà il bagno nell’Acquario...la mia sarà una rivoluzione pacifica: nel mio regno tutti saranno amici e in pace, la natura gli animali, il tempo. Saremo felici e trasparenti, puri, poveri ed equilibrati. Ebbene, la corona potrai usarla come vaso di fiori, il trono lo porteremo al museo della “civiltà contadina.”
Ad Arcadia caddero le regali calze, le quali rimasero ammosciate ed arrotolate intorno alle sue finissime caviglie. Guardò completamente interdetta e stuporosa il suo principe e poi ebbe il sopravvento il desiderio di mettere il suo sposo, tanto roseo e bello, sotto salsa verde, tra aceto, aglio e prezzemolo. Ma forse sarebbe stato meglio in salsa rosa!
Le prime parole che le vennero alla bocca furono: ”Mio principe, hai messo il cervello nel frullatore? Hai abdicato all’uso della ragione e ti sei ridotto a fare il barbaro? Hai forse invitato a corte quel maledetto Celestino che, con le sue profezie, farebbe andare il latte alle ginocchia alle nostre mucche e renderebbe aceto il vino delle nostre vigne?”
Ma poi il suo animo troppo gentile ebbe il sopravvento e non osò controbattere, e rimase con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati come fosse stata sorpresa da una nube di gas nervino.
Il principe allora cercò di ignorare, ma non gli riusciva facile, la sposa sotto sincope e continuò: ”Questa sera ci sarà il ricevimento a cui parteciperà il Re tuo padre. Ebbene il gatto con gli stivali non ci sarà, mi è venuto a noia e non sarà più tra noi. L’ho mandato a riposare: da questa sera cominceremo a risparmiare, già ho speso troppo per le sedie! Saremo equilibrati al basso e poi non voglio accanto nessuno che mi disturbi con i suoi progetti di ricchezza ed espansione. Troppo lavoro! Non voglio nulla da loro!”

(continua...)
Posta un commento