[...]
Il gatto corse dal padrone:”Padron mio se segui i miei consigli stai certo che tra poco ti troverai nobile, ricco e felice.
“Che devo fare, mio maestro? Dimmelo e lo farò.”
“Domani ti recherai al fiume e prenderai un bagno nel punto esatto che ti indicherò. Al resto penso io.”
Il giovanotto si chiese che tipo di ricchezza e di felicità potesse venirgli da un bagno nel fiume, ma aveva una gran fiducia nel gatto che finora gli aveva permesso di non morire di fame e promise di obbedire. Non aveva paura di ciò che sarebbe potuto succedere perchè la compagnia del gatto lo rassicurava che la strada che stava facendo era buona per lui e già ne aveva visto gli effetti. Infatti, mangiava tutti i giorni, e non solo pane, e cominciava a capire che le cose si potevano cambiare e che anche lui aveva delle possibilità di riuscire.
E pensare che quel filantropo del Nullista gli aveva un giorno detto che nella vita si poteva solo fallire. E infatti così era avvenuto per lui e per tutta la sua famiglia.Da quel pensiero lì non poteva nascere certo nulla di buono, mentre il suo gatto lo guardava con dignità e così lui ora si comportava davvero come il marchese di Carabas.
Il giorno dopo, mentre guazzava nell’acqua, ecco arrivare il re in carrozza, in compagnia della figlia e con un gran codazzo di cortigiani.
Allora il gatto spuntò fuori dal cespuglio dietro il quale si era nascosto, e cominciò a gridare con quanto fiato aveva in gola:
“Aiuto, bella gente, il marchese di Carabas sta affogando nel fiume, se lo sta bevendo tutto!”
Il re udì le grida, si affacciò allo sportello della carrozza, riconobbe il gatto che tante volte gli aveva portato in dono selvaggina prelibata, e immediatamente ordinò alle guardie del seguito di correre in aiuto del marchese di Carabas.
Mentre il giovanotto veniva tirato fuori dall’acqua, il gatto si avvicinò alla carrozza reale con aria contrita.
“Maestà, mentre il mio padrone faceva il bagno, sono venuti dei ladri e lo hanno derubato dei vestiti. Ed ora come potrà presentarsi a voi il mio padrone, rimasto nudo come un verme?”
Il re pensò subito che il marchese doveva essere trattato per il suo stato e ordinò ad un cavaliere di recarsi al palazzo per prendere un abito dal suo guardaroba di re.
Il giovane così indossò un lucente abito di seta indiana ricamato d’oro e d’argento e, poichè era di bell’aspetto, faceva una grande figura. La principessa, che aveva accanto la sua amica Carolaina di Monaco, colpita dalla sua aria regale se ne innamorò. Il sarto Valentain, seduto accanto al monarca, appena lo vide decise di farlo sfilare sulla passerella durante una saga dal titolo: “Il Palazzo vende moda.”
Intanto il gatto, felice del buon inizio del suo progetto, si mise le zampe in spalla, e via di corsa, precedendo la carrozza che avanzava piuttosto lentamente.
Poco più avanti c’erano dei contadini che falciavano l’erba e il gatto allora li minacciò così: ”Se non dite al re, che passerà di qui tra poco, che questo prato appartiene al marchese di Carabas, finirete tutti tritati.”
I poveretti che non voleveno fare banzai e che sapevano venire a compromessi quando si trattava della loro vita, spaventatissimi, obbedirono subito e quando il re, incuriosito, chiese ai falciatori di chi fosse quel bel prato, risposero in coro: “Del marchese di Carabas”
Il re non stette certo a verificare se quelle terre erano davvero del marchese perchè questi si comportava come un ricco, ne aveva lo stile: i fatti erano questi e i doni ricevuti lo confermavano. Infatti i ricchi nei rapporti si comportavano così. Si congratulò dunque con il suo ospite, il quale sedeva, manco a dirlo, accanto a sua figlia, per la ricchezza e la fertilità dei suoi possedimenti. Intanto la carrozza, che a quel punto poteva esser presa per un treno affollato, procedeva lenta lenta.
Il gatto ripetè le sue minacce a un gruppo di mietitori, pecorai, mandriani, vignaioli, tessitori, mafiosi, medici ospedalieri, maestri, presidi e prostitute che incontrò più avanti.
Pecore, mucche, vigneti, ospedali, scuole, bordelli, tutto apparteneva al marchese di Carabas.
Più i possedimenti crescevano, più il re stimava quel bel giovane suo suddito: il re non era per niente invidioso delle ricchezze del marchese e desiderò ancora di più averlo come alleato perchè sapeva che qualcosa sarebbe arrivato anche nelle sue tasche: insomma, c’era da guadagnarci. Infatti, aveva bandito dalle sue terre Babbo Natale perchè era talmente buono da parergli cretino, in quanto non giudicava mai, ma regalava tutto quello che aveva senza alcun giudizio di merito e senza tornaconto. L’amore disinteressato lo rendeva furioso.
Nel vedere i rigogliosi campi di grano, nei quali rosseggiavano i papaveri, il re pensò che le risorse erano davvero infinite! Non faceva come quel gruppo portarogna di suoi conoscenti che si alzavano alla mattina e nel sentire che la popolazione era aumentata venivano presi dal mal di stomaco e gridavano:”Morirete tutti di fame. Siete in troppi! Le risorse stan per finire!” Loro non si mettevano naturalmente in quel gruppo perchè avevano fin troppo cara la loro pellaccia.
Il gatto arrivò davanti ad un castello. Seppe che vi viveva un orco straricco: tutte le terre che il gatto aveva attribuito al Marchese di Carabas erano sue!
Pensa e riepensa, il gatto, a cui le idee non mancavano, ne inventò una grossa.
Chiese d’essere introdotto alla presenza dell’orco e non appena gli fu davanti, gli snocciolò un rosario di complimenti.
“Ho sentito il dovere, passavo di qui, di conoscere il più potente degli orchi. Ho saputo che avete il dono della magia e sapete trasformarvi in qualsiasi animale, elefante o leone che sia. Io mi chiedo, molto rispettosamente, se queste voci siano vere, ho dei dubbi...”
“Certo” urlò l’orco irritato “e per dimostrartelo mi trasformerò subito in un leone.”
Il gatto davanti alla belva fu preso da vero terrore e finì, per un enorme singhiozzo, a gambe all’aria. Quella criniera arruffata, che sembrava fonata in piedi da un parrucchiere pazzo, e quei rauchi ruggiti gli ricordarono la sua maestra di gattologia che gli insegnava come acchiappare e mangiare i topi, proprio a lui!
“Sei convinto ora? urlò il bestione.
“Fino a un certo punto, signore,” disse il gatto che già s’era ripreso perchè aveva capito che l’orco era uno stupido bestione, aveva proprio la stupidità del grande e grosso e ciula.”
Così continuò: “ma per voi non è difficile trasformarvi in una grossa belva, ma che ne direste di trasformarvi in una piccola bestiola, tipo bonsai?”
“Ti faccio vedere subito, gattastro!” urlò tutto stressato. Detto fatto: l’orco divenne un topolino che fu ben presto divorato dal gatto, il quale esclamò: ”Il nemicazzo, come tutti gli usurpatori, può non far più paura, basta ridimensionarlo! Infatti c’è cascato perchè ha avuto bisogno di dimostrare di essere potente. Se lo fosse stato davvero non avrebbe avuto alcun bisogno di dimostrazioni, non si sarebbe piegato a tanto! Ma non voleva che io dubitassi della sua potenza. Se invece di offendersi m’avesse detto: ”Ma come ti permetti di dubitare di me?” io me la sarei data a gambe, invece ha avuto bisogno, il gonzo, di giustificarsi... di dimostrare d’esser bravo, di fare tanto, di finire il programma di orcologia, di esser più bravo di tutti i suoi colleghi...Ma chi fa così non ha un vero potere!”
Intanto la carrozza reale era giunta davanti al castello: il re, incuriosito, chiese di visitarlo. Il marchese di Carabas non sapeva cosa fare, ma ecco arrivare, di corsa, il gatto.
“Benvenuta, Maestà, nel castello del marchese di Carabas.”
Il re trasecolò.
“Marchese, anche questa magnificenza vi appartiene? Un castello con ogni optional: cortile lombardo, giardino italiano, scalinata alla Wanda Osiris, ponte levatoio alla Robin Hood! Però!”
Mentre il re visitava le sale, la principessa seguiva il marchese e si innamorava sempre di più di quel gentiluomo tanto ricco e bello.
Nel sontuoso castello vi era un grande salone con una splendida tavola apparecchiata con ogni sorta di delicatessen. L’orco aveva preparato tutto quel ben di Dio per una merenda con i suoi compagni orchi che non erano poi venuti.
Il gatto nel vedere tutte quelle squisitezze si rallegrò:”Lo sapevo che il potere dei potenti fa ridere! Ha potere chi è capace di rapporti. L’orco non è riuscito a convincere neppure i suoi compagni di merende!”
Tutti mangiarono e bevvero abbondantemente, compreso il gatto che, con tutto quel correre, aveva un tremendo appetito.
Alla fine del banchetto il re, notando gli sguardi di marmellata che sua figlia lanciava, ricambiata, al bel marchese, e dopo aver fatto il conto di quanto valessero tutti i possedimenti che aveva visto, decise di aver trovato il genero ideale. Presto, nella sua regal casa si sarebbe celebrato un vero matrimonio di interesse!
“Mio caro marchese, vedo che mia figlia nutre per voi molta simpatia, se anche voi la ricambiate, ve la offro in sposa.”
Immaginarsi la felicità del giovanotto: non ci mise che un attimo per dire di sì. Quel giorno stesso si celebrarono le nozze e il figlio del mugnaio divenne principe. Ora il giovane sapeva davvero che il suo stato non c’entrava nulla con l’essere figlio di un mugnaio. S’era comportato da marchese ed era divenuto principe!
“Ero un poveraccio e ora sarà merito mio fare il principe! Sono stato ad una buona scuola! Mi hai insegnato bene la tua materia e mi hai permesso di far fruttare i miei talenti!” disse il giovane strizzando l’occhio al suo maestro.
“Ti ho solo spianato la strada, sapevo come si faceva e tu ti sei accorto di questo e mi hai seguito. Mi sono anche divertito e ho fatto ciò che mi andava, ciò che mi piaceva.Ti dirò che, a parte le corse, non mi sono caricato di eccessive preoccupazioni, e così ho fatto con te, non ho lavorato troppo, e non ho avuto neppure una crisi da stress! L’unico stressato della storia è l’orco che ha preso su di sè il mio dubbio sulle sue capacità di orco e invece di sanzionarmi, rimettendomi al mio posto, si è attribuito la colpa e così a furia di dimostrazioni e giustificazioni ha perso ed è finito tutto tritato!”
(continua...)